Un aspetto del nostro cinema mi ha sempre un po’ frustrato, come spettatore: il non riconoscermi molto nei personaggi che rappresenta. Raramente ci trovo raffigurato il mio habitat sociale coi suoi riferimenti culturali, i suoi tic linguistici. Non è che devo rispecchiarmi esattamente nei personaggi, sia chiaro: è che non assomigliano a nessuno che conosco.
Mentre c’è uno sguardo, in certo cinema francese o nelle commedie mumbleco- re americane che ritrae la vita – con le sue storture, il suo mix di spia- cevolezza e lampi di ironia feroce e dolcezza e goffaggine – in maniera più verosimile, non consolatoria, non approssimativa: specifica. E quella spe- cificità toglie barriere alla sospensione dell’incredulità del pubblico e ha come conseguenza una forte presa empatica, almeno su di me. Nella regia di Una Relazione ho cercato di andare in quella direzione. Scenografie, costumi, trucco, e soprattutto recitazione: tutto doveva essere credibile, ma senza appiattirsi su un realismo sciatto o incolore.
Mi ha dato una grande mano Gergely Pahornok, un dop talentuoso che sa gesti- re la luce con grande facilità, e ricrea una luce realistica e contemporanea restando sempre attento alla bellezza del fotogramma. Lo spazio scenico sul set doveva essere libero perché gli attori potessero interagire con natura- lezza. Nelle scene più descrittive i movimenti di macchina erano più pensa- ti – e quindi carrelli, panoramiche, piccoli piani sequenza invisibilmente coreografati – mentre nelle scene più emotive la camera era più libera, più a ridosso dei personaggi e dei sentimenti. Ho cercato che da ogni scena tra- sudasse un senso di plausibilità grazie alla specificità della messa in scena.
E per trovarla ho scelto di utilizzare cose che conosco: le location, gli ambienti ricreati da Mauro Vanzati, i vestiti scelti da Cristina la Parola, e anche il rapporto fisico e quotidiano dei protagonisti con la musica, che è quasi un altro personaggio del film. Le canzoni di questo film sono state scrit- te da me e dalla mia ex – compagna, Valentina Gaia, e offrono altri livelli di lettura della storia, calati profondamente al suo interno.
Valentina ha firmato soggetto e sceneggiatura con me: per rendere credibi- le il racconto della fine di un amore abbiamo pescato fra cose dolorosamente vicine a noi, in un cortocircuito continuo. E non per essere ombelicali ma solo per non essere generici. Lei era sempre presente sul set, garantendomi uno sguardo femminile che equilibrasse i due punti di vista principali della storia. La grande chimica e le interpretazioni emozionanti di Guido Caprino e Elena Radonicich, i miei due protagonisti, mi hanno permesso di raccontare un grande amore credibile nonostante si racconti solo la sua fine. Tutto il cast è stato generoso e attento: si ha l’impressione che quelle persone le si potrebbe incontrare davvero, là fuori, a Roma, nel 2021.
O almeno questo è il mio auspicio.