Allora, partiamo da quello che dovreste già sapere, Ad honorem è il terzo e ultimo capitolo della trilogia di Smetto Quando Voglio. Quando abbiamo cominciato a concepire la saga, l’ambizione era quella di fare tre film che, pur mantenendo una fortissima base comedy, andassero in tre direzioni differenti, creando tre esperienze cinematografiche diverse. Nel primo volevamo una commedia all’italiana di accezione classica, che attingesse a piene mani dalle serie tv di quel momento. Nel secondo ci piaceva l’idea che l’azione poliziottesca e western italiana si fondesse con i sequel americani degli anni Ottanta e Novanta. Nel terzo le regole sono cambiate ancora, e sinceramente non saprei dire stavolta cos’è che ci ha ispirato. Ad honorem è stato un film scritto di getto, di pancia e di cuore, e quella che poi siamo andati a girare è stata, in pratica, la prima stesura. La sensazione è stata quella di procedere su un percorso già tracciato: tutti gli eventi dei primi due film servivano a portarci verso un’unica soluzione finale. Ad honorem rispetta in pieno la tradizione degli epiloghi delle trilogie classiche, e risponde alle domande contenute nei film precedenti chiudendo però il cerchio in questo definitivo faccia a faccia tra il buono e il cattivo.
La sfida più ardua è stata inserire un villain all’interno dell’universo di Smetto Quando Voglio, che, per quanto espanso, appartiene comunque al genere della commedia classica, quella che deve far ridere. Per qualche strano motivo, le cinematografie del mondo sono piene di sfide tra buoni e cattivi, quella italiana no. Sono tutti un po’ buoni e un po’ cattivi. L’ultimo villain che abbiamo avuto e che ricordiamo all’interno di una saga comedy è stato il geometra Luciano Calboni, acerrimo nemico e nemesi di Fantozzi. Ma oggi i linguaggi sono altri, e a noi serviva un nemico cattivo davvero, spietato, senza scrupoli, credibile e molto umano, che con la sua entrata in scena, alla fine del secondo capitolo, portasse la saga a un livello più dark, epico, epocale. Stavamo ancora scrivendo, quando la casting (Francesca Borromeo) mi chiamò per dirmi: “Luigi Lo Cascio, Walter Mercurio può essere solo Luigi Lo Cascio”. Con Luigi abbiamo lavorato sulle motivazioni. Per dare verosimiglianza alle gesta di un cattivo così determinato, bisognava assolutamente convincersi delle sue ragioni, e le sue ragioni erano davvero più convincenti di quelle dei buoni. Tra loro due, Pietro Zinni e Walter Mercurio, abbiamo inserito una figura a metà, tenuta forzatamente fuori dal secondo film ma antagonista diretto della banda nel primo capitolo, per rendere chiaro poi che tra buoni e cattivi c’è sempre un ribaltamento di fronte. Murena, il nemico storico, torna in questo finale, per dimostrare che si può forzare sulle sfumature (e riderne) anche quando si scrivono commedie che puntano sugli archetipi. La banda, in questo senso, è la grande ricchezza di Smetto Quando Voglio. Sapere di averla rimessa in piedi per l’ultima volta un po’ di nostalgia me la dà. Ci vediamo al prossimo film. Avrà un titolo diverso, promesso.