Tutte le volte che mi trovo alle prese col raccontare una storia e dei personaggi, mi scopro a ragionare sempre sullo stesso enigma. A riflettere su come sarebbe stata la mia vita se lungo la strada non avessi incontrato quella grande passione che è il cinema. Credo che il cinema, che per me è sempre stato elemento fondamentale e terapeutico per esorcizzare paure e nevrosi, mi abbia, fino ad ora, salvato la vita. E senza di esso sarei forse stato un essere umano ingabbiato in un mondo che non gli appartiene. Un mondo incomprensibile, di cui avere paura. Un mondo da prendere a pugni in faccia o dal quale fuggire, proprio come fanno gli esseri umani raccontati in “Ovunque proteggimi”. È così che Francesca e Alessandro sono entrambi parti di me stesso. Lui, detentore di una passione che si allontana inesorabile, inconsapevole di essere già troppo deteriorato per poterla riacciuffare, ma ancora straripante di vita. Lei, convinta di potersi salvare scappando da una vita piena di macerie, defraudata di un figlio che ama più di sé stessa, ingannata da una società fasulla, cinica e moralista, sempre pronta a giudicare e violentare i sentimenti più puri.
Personalmente, la necessità e l’urgenza di trasmettere quello che sento nel profondo, nasce da situazioni e sentimenti che ho vissuto in prima persona. E se i personaggi da me descritti fossero sbrigativamente etichettati come “marginali”, allora posso dire, con lucida sincerità, di essere marginale anch’io.
Non c’è niente di Zavattiniano nel mio lavoro. Io non pedino nessuno, non guardo il mondo attraverso buchi di serrature, non osservo gli animali nella gabbia dello zoo. Io sono semplicemente già lì, dentro la gabbia, con loro, che sono tanti, troppi, la maggioranza silenziosa che nessuno ascolta, che nella realtà dei fatti è tutt’altro che marginale, anzi, è il vero centro del mondo.
Dunque i miei sentimenti, le mie esperienze, la mia rabbia e le mie paure più profonde, estremizzate e portate sullo schermo. Quasi un modo per allontanarle, trasformarle da negative a positive, da veleno ad antidoto. Le voglio mostrare attraverso il cinema col tentativo di renderle più cristalline e comprensibili possibile, come fossero messe in scena in un film di Chaplin o in un cartone animato giapponese degli anni ottanta. Attraverso l’utilizzo di un meccanismo narrativo diretto, emotivamente chiaro, che non ha paura di mostrarsi nella sua autentica natura, e con un linguaggio figlio di un cinema, un tempo popolare, ora quasi dimenticato. Un cinema fatto di personaggi, in cui tutti gli elementi espressivi che mi hanno fatto innamorare dello schermo quando ero adolescente, sono vivi in un unico corpo. Le solitudini, il sentimento di rivalsa, i perdenti, l’amore, la follia, il melodramma, l’utilizzo della colonna sonora come elemento protagonista. Tutti fattori preposti ad un’intensità narrativa ariosa, rapida, avvincente, amara, ironica, avventurosa e dolorosa al tempo stesso.
In “Ovunque proteggimi” c’è la volontà di espandere il cuore pulsante di Alessandro e Francesca e di mostrarlo all’umanità intera, quella stessa umanità che non si accorge della loro esistenza e voglia di vivere, ma anche quell’umanità di cui loro e noi stessi facciamo parte. Una battaglia persa in partenza, che però può darci, solo per un attimo, la sensazione di sentirmi e di sentirci, un po’ meno soli.